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Progetto Bonifica Valsessera, prima parte

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Gli studi compiuti in questo ultimo ventennio sullo spopolamento della montagna e sul problema montano in genere hanno gettato una viva luce sulle necessità di queste zone meno dotate dalla natura in confronto degli ubertosi terreni vallivi e dove, di conseguenza, sono più sentiti i turbamenti anche minimi di quell’equilibrio che a forza di sacrificio e di perseveranza i montanari sono andati conseguendo attraverso i secoli. E in primo luogo ne è scaturito il principio che il problema montano, come le bonifiche delle zone vallive, va trattato in maniera unitaria e non spezzettato in tanti problemi unilaterali e in antagonismo tra loro”.

Questo è uno dei passaggi più importanti, dal punto di vista concettuale, del progetto di bonifica dell’Alta Valsessera elaborato per Ermenegildo Zegna dall’ingegner Emilio Paltrinieri, centurione della Milizia Nazionale Forestale, nel 1940.

Il “Progetto di bonifica integrale del bacino montano del torrente Sessera” fu presentato in via preliminare al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste il 20 novembre 1940. Sette giorni dopo da Roma arrivava un convinto cenno d’assenso. Un convinto cenno d’assenso e… basta.

Per quanto la Legge n. 3267 del 30 dicembre 1923 prevedesse sussidi statali per iniziative di quella tipologia, con il Regno d’Italia in guerra da quasi sei mesi era piuttosto complicato anche solo sperare in qualche contributo pubblico.

Tuttavia, il contesto normativo, migliorato dal Regio Decreto n. 215 del 13 febbraio 1933 e inerente proprio le bonifiche integrali, permetteva di programmare opere anche di cospicue proporzioni. In effetti, il futuro dell’area montana che si estende oltre il displuvio triverese fino ai confini con la Valsesia, andava affrontato con una visione ampia, generale, per l’appunto integrale.

Fin dal 1930, appena dopo le prime piantumazioni attuate sulle falde del Monte Rubello, Ermenegildo Zegna aveva voluto estendere quella esperienza d’esordio a un contesto territoriale molto più vasto.

Si era quindi affidato all’ispettore forestale Fossa, che aveva prospettato un intervento senz’altro valido e perciò approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Non poche di quelle indicazioni progettuali furono concretizzate sul terreno, ma le difficoltà della metà degli anni Trenta fermarono i lavori.

Malgrado il buon avvio, però, a distanza di appena due lustri, quel progetto appariva già superato, perché manchevole di quella visuale d’insieme dalla quale non si poteva prescindere per avere qualche chance di successo in una sfida tanto ambiziosa e difficile, soprattutto in quel periodo così tormentato. Ermenegildo Zegna ne aveva piena coscienza.

Quello dell’ispettore Fossa andava sostituito con un altro progetto “che prenda in esame non solo la sistemazione idraulico-forestale ma anche la contemporanea trasformazione fondiaria del bacino stesso, consistente in una equa ripartizione delle colture, bosco e pascolo, nella attrezzatura razionale delle alpi e nell’apertura di strade; in sintesi nell’organizzazione della vita sociale e produttiva su nuove basi”.

Queste le conclusioni dell’ingegner Paltrinieri.

L’evoluzione della prospettiva è tuttora evidente. Il bacino del Sessera dalle sorgenti al Piancone non sarebbe diventato una fitta foresta disabitata da sfruttare solo per il suo legname.

L’idea maturata in Ermenegildo Zegna e nei suoi collaboratori era di tutt’altra portata. Bonificare – bonum facere – la Valsessera significava letteralmente renderla buona, fruttifera, redditizia, tanto per la vita selvatica che l’avrebbe popolata come e più di sempre, quanto per gli uomini che l’avrebbero abitata e coltivata.

Il “Progetto di bonifica integrale del bacino montano del torrente Sessera” compie ottant’anni. Ed è invecchiato benissimo, anzi non è invecchiato affatto. È il mondo che è cambiato. Il progetto è attualissimo e c’è ancora molto da dire a riguardo. Ma non adesso. Tra due settimane.

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