Una volta, quando si diceva “un posto da lupi”, si indicava un postaccio. Oggi “un posto da lupi” è da considerare un luogo straordinario, dove l’ambiente naturale è preservato e tutelato, tanto che ci possono vivere i lupi. La Valsessera è uno di quei luoghi straordinari, dove vivono i lupi. E per osservare la Valsessera in tutta la sua bellezza si può salire al San Bernardo, a sua volta un bel postaccio, con una storia antica e suggestiva.
L’origine del santuario sulla cima del Monte Rubello si deve alla drammatica vicenda dolciniana dell’inizio del XIV secolo. Dedicato a San Bernardo di Mentone o, più probabilmente, di Aosta l’edificio ricorda la sconfitta dell’eretico Fra Dolcino per mano dei crociati del vescovo di Vercelli, il 23 marzo 1307. San Bernardo è quello cui devono il nome i due passi alpini, il Grande e il Piccolo San Bernardo, nonché la celebre “razza” canina.
La dedicazione a San Bernardo non è casuale: secondo la tradizione, il monaco valdostano vissuto nell’XI secolo aveva scacciato i demoni dalle cime delle sue montagne, così come il Triverese era stato liberato dai dolciniani.
Simbolo per simbolo, se si vuole raccontarla in un altro modo, i fedeli cagnoni crociati avevano avuto la meglio sui lupi famelici dell’eresia e della violenza.
In effetti, tra il 1306 e il 1307, il Monte Rubello fu l’ultima roccaforte dell’eresiarca valsesiano prima della battaglia decisiva sulla sottostante piana di Stavello. In quel rigido inverno i seguaci di Fra Dolcino avevano messo a ferro e fuoco le comunità vicine provocando la reazione della Chiesa.
Tali fatti suscitarono già all’epoca una certa impressione, tant’è che Dante, nel suo viaggio agli inferi, sentirà addirittura Maometto “profetizzare” la venuta di Fra Dolcino, un peccatore degno del girone degli scismatici e dei seminatori di discordia. E anche ne Il nome della rosa Umberto Eco chiama in causa il terribile frate ribelle sullo sfondo dei delitti del suo giallo medioevale.
La costruzione dello stabile primitivo è convenzionalmente stabilita nel XV secolo (1448), ma è verosimile che una preesistente piccola cappella fosse sorta già nel Trecento, per spontanea volontà dei triveresi riconoscenti, immediatamente a ridosso della tragica epopea di Fra Dolcino, della sua donna Margherita e del suo luogotenente Longino, tutti finiti sul rogo tra Biella e Vercelli.
Fin da subito quella chiesetta sulla vetta attirò la devozione delle borgate triveresi, ma anche dei comuni viciniori, lungo il Ponzone, il Sessera e lo Strona. Il 15 giugno, giorno consacrato a San Bernardo, lunghe processioni risalivano i ripidi fianchi della montagna per testimoniare gratitudine al celeste protettore di queste vallate.
Nel 1839 l’edificio (che era custodito da un eremita) fu oggetto di un intervento di radicale ricostruzione, che portò a una struttura a due piani dotata di un portico frontale e laterale (in verità il nuovo santuario era già pronto due anni prima, ma il giorno dell’inaugurazione un fulmine lo danneggiò a tal punto da dover rinviare l’apertura e da doverlo ristrutturare dalle fondamenta).
All’inizio del Novecento, Fra Dolcino “risuscitò” in qualità di simbolo socialista nelle lotte ideologiche e politiche di allora. Sulle stesse falde del monte, infatti, fu innalzato un obelisco che commemorava non l’eretico violento, ma un eroe del Socialismo ante litteram, una figura mitica che “rubava ai ricchi per donare ai poveri”. Durante il Fascismo l’obelisco fu demolito, ma nel 1974 un cippo lapideo tornò a tramandare una versione alternativa della storia dolciniana.
Nel 1948-1949 Ermenegildo Zegna, il cui titolo nobiliare – conte di Monte Rubello di Trivero – è derivato direttamente dalla montagna del Santuario di San Bernardo, si prodigò per ampliare lo stabile cui era particolarmente affezionato. Con l’aggiunta dell’ala ovest l’edificio assunse la sua definitiva simmetria. E sulla facciata fu collocata una statua raffigurante il santo patrono.
Alla fine degli anni Sessanta, anche Aldo e Angelo Zegna, seguendo i progetti dell’architetto Luigi Vietti, si interessarono al piccolo santuario triverese con importanti opere di miglioria che conferirono al fabbricato l’aspetto attuale.
Da lassù il panorama è una meraviglia in ogni direzione. Anche la bocchetta della Luvera, dove i lupi venivano catturati nelle luvere e uccisi per proteggere gli armenti, adesso è un ameno belvedere. La Valsessera dal San Bernardo è selvaggia e splendida. Per fortuna ci sono ancora i posti da lupi.