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I rododendri, stupore e meraviglia. Da fabbrica nel paesaggio a fabbrica del paesaggio

rododendri

Alla fine degli Anni ’30, sulla montagna di Trivero, stava tornando il bosco.

Il bosco era stato tolto dagli uomini che avevano dovuto, per sopravvivere, ampliare i pascoli fino a rendere brullo e indifeso il suolo. Ermenegildo Zegna era intenzionato a rammendare quella vistosa falla.

Si ristabiliva così un equilibrio ecologico e paesaggistico. Con tanti nuovi alberi, per lo più conifere. Si andava ricreando una foresta scomparsa da tanto tempo.

E quasi subito arrivarono anche i fiori.

Insieme al verde, ecco anche gli altri colori.

Si ritrovava così anche quell’equilibrio estetico che la Natura ha sempre prodotto spontaneamente. Soprattutto in montagna.

Le cromie naturali più squillanti della nostrana tavolozza alpestre sono quelle dei rododendri selvatici.

Quei rododendri selvatici che il medico Maurizio Zumaglini, il più illustre botanico biellese di sempre, aveva descritto nella sua Flora pedemontana già alla metà dell’Ottocento.

Nel latino un po’ ostico del suo compendioso trattato, lo Zumaglini segnalava sui nostri monti il rododendro irsuto e quello ferrugìneo, entrambi diffusissimi sulle Alpi.

I rododendri, quindi, c’erano già… Ermenegildo Zegna si faceva ispirare da ciò che conosceva bene. Chissà quante volte li aveva visti sulle falde del Monte Rubello o in Valsessera. Il fiore più adatto per colorare i bordi della sua strada panoramica e delle sue pinete era dunque il rododendro.

Quell’innesto non ha stravolto l’ambiente. Introdurre quell’essenza è stata una scelta apprezzabile e coerente. Sull’esempio della buona pratica già applicata sulla Burcina fin dall’ultimo Ottocento.

A Trivero, la fabbrica nel paesaggio diventava la fabbrica del paesaggio.

Il lanificio di Ermenegildo Zegna tesseva anche i dintorni. Dai suoi telai uscivano un manto spigato di aghifoglie sempreverdi e un velo jacquard di rododendri policromi.

Però, la messa a dimora degli arbusti floreali fu bloccata dalla guerra, che fu come una gelata tardiva.

Ma il solco era stato tracciato e si trattò, appena possibile, di riprendere il lavoro. Ermenegildo Zegna non era tipo da lasciare imprese incompiute.

 

La lunga e rigogliosa stagione dei rododendri iniziò attorno al 1950. Per i successivi dodici anni Trivero fu la destinazione di consistenti invii di piantine. Molte centinaia per volta.

Arrivavano soprattutto dai vivai del Belgio: da Cherscamp, da Schellebelle lungo la Schelda a due passi da Gand, da Porte Sainte Catherine vicino a Bruges.

Il Rhododendron Ponticum andava per la maggiore. Ma non mancavano gli ibridi, dai nomi affascinanti: come il Felix de Sauvage (rosso e rosa intenso), il Prince Camillo de Rohan, il Madame Masson (candido), il Souverain du Congo, il Louis Pasteur (rosso chiaro).

La Panoramica Zegna è anche un esteso giardino di rododendri: dalle specie coltivate a quelle selvatiche che si trovano salendo in quota, da sempre attira appassionati e curiosi.

Di lì a poco sarebbe nata la “Conca dei rododendri”, il punto di maggior interesse, quello più spettacolare. Tra maggio e giugno la valletta si tinge di armonia colorata, secondo il primitivo disegno del grande architetto paesaggista Pietro Porcinai, che fu attivo a Trivero tra il 1959 e il 1979, e secondo il più recente intervento dell’architetto Paolo Pejrone che affianca tutt’ora con la sua competenza la trasformazione del paesaggio.

Ermenegildo Zegna, i suoi figli e i suoi nipoti hanno creato, curato e mantenuto un angolo di semplice bellezza. Il rododendro è il simbolo più vero di quell’opera silenziosa di tessitura vegetale, un tessuto verde che ogni anno torna a fiorire.

 

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