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Il giardino segreto di Ermenegildo Zegna

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Le Giornate FAI di Primavera in programma questo weekend danno modo al pubblico di visitare “I luoghi nascosti di Ermenegildo Zegna“, tra arte, architettura e natura. Varcando il cancello di via Marconi 23 a Trivero si potrà compiere un vero percorso di scoperta che non si limiterà all’accesso al giardino di una villa, ma che permetterà di conoscere qualcosa di più dell’uomo che lo ha fatto costruire, in un tempo e in una realtà molto lontani dai nostri.

Per scoprirne la storia, abbiamo intervistato Danilo Craveia, responsabile tecnico dell’Archivio Zegna.

 

L’Oasi Zegna, a Trivero, è come se fosse un “grande giardino” pubblico creato da Ermenegildo Zegna. Quali sono invece le caratteristiche del suo giardino privato?

Siamo abituati a considerare la “Panoramica Zegna” come un grande giardino voluto da monsù Gildo per il Biellese e per i biellesi. In effetti, se la si osserva dal punto di vista quantitativo, la piantumazione floreale realizzata lungo la strada che collega Trivero alla Valle Cervo via Bielmonte rappresenta uno dei più vasti esperimenti botanici di cui si abbia contezza. Ma al conte Zegna non interessavano i record. Immaginava soltanto di offrire ai turisti uno spettacolo nello spettacolo, un addendo di colori alla sommatoria naturale di un panorama speciale. Se la “Panoramica Zegna” è un parco esteso, quello della villa del conte è, al contrario, ridotto nelle dimensioni, ma l’ampiezza non ha inciso sulla densità. In poche centinaia di metri quadrati l’area verde consente di “smarrirsi” e di imbattersi in simboli e segni di un “sistema di comunicazione” ben più complesso dell’abbinamento di alberi, statue e manufatti architettonici.

 

Quando fu realizzato il giardino privato?

Nel 1925-26 Ermenegildo Zegna si trovava a capo dell’azienda di famiglia da dieci anni. A soli 33 anni, prese la decisione importante di investire sullo spazio privato non solo per avere maggior comodità ma anche per dare di sé e della sua famiglia un’immagine in linea con i successi raggiunti e da raggiungere dalla sua fabbrica. La vetusta casa colonica esistente a ridosso del primo nucleo del lanificio fu abbattuta insieme all’aia e all’orto antistante. I filari delle ramme, sulle quali si stendevano ad asciugare le pezze finite, furono spostate altrove. Inizialmente affidò il verde ai più affermati florovivaisti biellesi. L’ingaggio di veri e propri architetti paesaggisti non era usuale nel Biellese degli anni Venti e anche Ermenegildo Zegna ne fece a meno affidandosi ad artigiani/artisti capaci di affrontare le problematiche dell’ideazione armonica di un ambiente esterno. Negli anni Quaranta Ermenegildo Zegna uscì dal contesto locale per affidarsi a Otto Maraini, che diede al parco di Trivero la sua connotazione attuale (anche se l’arrivo di Pietro Porcinai negli anni Cinquanta comportò non poche variazioni, soprattutto nelle componenti decorative). Maraini inserì nel contesto vegetale la maggior parte delle statue e riuscì a tradurre nella sua composizione lo spirito rinascimentale cui il “nuovo” Ermenegildo Zegna si ispirava.

 

Che rapporto si instaurò tra Ermenegildo Zegna e Otto Maraini?

Otto Maraini fu un vero artista e un abile progettista istrionico e visionario. Il progetto di Ermenegildo Zegna rischiava di arenarsi dopo la tragica morte dei suoi architetti di fiducia, Giorgio Caraccio e Luigi De Munari, avvenuta nell’ottobre del 1940, ma il loro estroso collaboratore conquistò in toto la fiducia dell’imprenditore laniero. Il ciclo di graffiti commissionati a Ettore Olivero Pistoletto fin dal 1929-1930 raccontava le lavorazioni laniere, ma citava anche i banchieri/tessitori toscani, gli autentici interpreti dell’Arte della Lana. Un moderno “homo faber” come Ermenegildo Zegna trovava affinità con quei mercanti-imprenditori e nel suo giardino si dovevano incontrare le tracce di quella continuità elettiva. Ecco allora, rivista nelle linee eleganti e sensuali di Maraini, la classicità e la mitologia. Il parco doveva rifarsi a quello di un’ideale villa nella collina fiorentina del XV secolo, tra arcaismi bucolici e suggestioni umanistiche. La grande fontana aperta sul digradare del crinale sotto la villa avvolge e seduce con referenze e tonalità marine (non sono le uniche: anche dentro la casa privata Maraini volle rimandi marini con pinguini e sirene); le due dee sono il frutto della matita dell’architetto e dello scalpello del quotato scultore carrarese Alessandro Lazzerini. Marmo e pasta di vetro azzurra e verde incorniciati nella pietra della Balma o nel granito lucido. Il conte Zegna non si oppose mai: Otto Maraini ebbe sempre carta bianca.

 

Nel giardino si trovano altre opere dello studio Lazzerini?

Maraini si rivolse al figlio dell’autore, Roberto, per avere a Trivero un buon numero di statue prodotte dal padre e dal nonno Giuseppe. I Lazzerini erano gli ultimi discendenti di una lunga genia di scultori in marmo e a loro si attribuiscono pressoché tutte le sculture oggi presenti tra i cespugli e le piante d’alto fusto del parco Zegna. Firmata dal professor Giuseppe Lazzerini è il gruppo “La Silvia”, raffigurazione del passo dell’Eneide in cui la giovinetta latina Silvia accudisce il cervo ferito a morte da Ascanio. Suoi, forse, anche i due fanciulli che giocano con grossi volatili dal becco lungo, quasi sicuramente gru. I due lavori, collocati sulla balaustra del terrazzo della villa, sembrano non essere scelti a caso: parte integrante dello stemma del conte Zegna è, infatti, una gru che nel Medioevo si riteneva capace di non dormire mai. L’insonnia dell’animale lo rendeva vigile (tanto da reggere senza perdere mai la presa un sasso nella zampa) e garante di sicurezza. Da ciò il motto nobiliare degli Zegna: “In vigilantia securitas”. Tra le frasche si incontra anche una Venere. E’ una copia di quella d’inizio Ottocento di Antonio Canova, detta “Venere Italica”, conservata alla Galleria Palatina di Firenze. Alessandro Lazzerini, prima di morire ai primi di gennaio del 1942, aveva fatto in tempo a scolpire anche quattro figure di fattezze infantili, icone delicate delle stagioni. Alle loro spalle si stende la quinta che esclude la vista dello stabilimento allo sguardo del visitatore. La parete ad archi, un tempo tutta decorata da mosaici di Odorico Osvaldo (compiuti tra il 1942 e il 1943 sempre su disegno di Maraini), costituisce un elemento significativo della scenografia di villa Zegna, ma anche della dialettica tra casa e opificio.

 

Una visita a Trivero durante le Giornate Fai di Primavera può regalare un pomeriggio di curiosità e di novità, ma anche di riflessione su come il bello e il singolare si possano nascondere anche accanto alle fabbriche.

 

Informazioni

Casa Zegna Via Marconi 23 – Trivero

Tel. 015 7591463

archivio.fondazione@zegna.com

 

Intervista tratta da Eco di Biella

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