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Ermenegildo Zegna. Un ritratto.

ritratto

Da quasi vent’anni mi occupo dell’archivio storico del Gruppo Ermenegildo Zegna. Mi è già capitato di approfondire in più occasioni vari aspetti di una realtà così articolata e longeva, che va a compiere 110 anni di vita e di affrontare la figura affascinante e complessa del fondatore, Ermenegildo Zegna, conte di Monte Rubello di Trivero.

La Zegna è sempre e comunque monsù Gildo, e viceversa. Questo non è un assunto storicistico dettato da deformazioni professionali o da un eccesso d’amarcord.

Il mondo è cambiato e sarebbe un errore attribuire all’industriale triverese morto nel 1966 meriti non suoi. Gli si farebbe un torto. Ma dire che ancora adesso la Zegna è Ermenegildo Zegna significa riconoscere che lo “stile” permane, che l’habitus è stato tramandato, che il modo di intendere l’industria collima. Un’eredità così importante, che in altri contesti sarebbe potuta risultare ingombrante se non addirittura dannosa, a Trivero è indossata come il più comodo e performante degli abiti.

Non ho conosciuto Ermenegildo Zegna, ma sul suo conto mi sono fatto qualche idea. In questi anni, in effetti, ho avuto modo di catalogare, inventariare e riordinare personalmente migliaia di documenti e di fotografie che lo riguardano e quindi, per le impressioni che ne ho tratto, mi permetto di abbozzarne un ritratto.

Ermenegildo Zegna, ultimo dei tanti figli di Michelangelo, da giovane appariva minuto, da vecchio pesante. Sembra quasi non aver goduto di un’età intermedia. Sempre elegante, ma sempre serio: le immagini che lo ritraggono sorridente si contano sulle dita di una mano.

Lo si direbbe greve e quindi statico, invece fu un uomo d’azione, una persona dinamica. La sua volontà di esserci, di capire e di valutare, in fabbrica come sulla montagna, a Trivero come a New York, lo ha mantenuto in costante movimento. Ebbe una mente aperta, curiosa, eppure ponderatrice, ma capace di ardire, di far sì che le radici diventassero ali. Ermenegildo Zegna fu visionario e concreto. Visione e concretezza significano creatività. Perciò fu creativo, ma non solo come disegnatore tessile o imprenditore laniero. Fu creativo in tutto, migliorando la vita della sua comunità.

Il conte Zegna era “malato” di lavoro, ecco perché lui e il lanificio erano un tutt’uno. Non era né un arido né un maniaco, era impegnato a dare un senso alla sua vita attraverso il lavoro.

Nelle sue parole c’è sempre il lavoro, ma anche la vita di un paese, Trivero, e di un Paese, l’Italia, che stavano sperimentando via via la Grande Guerra, il Fascismo, un’altra guerra, la Resistenza, la Liberazione, il boom economico.

Ermenegildo Zegna parlava poco e non parlava a vanvera, ma non temeva di esprimere chiaramente le sue idee. Il problema fu, a volte, che quelle idee erano talmente chiare da risultare ostiche per tanti dei suoi interlocutori. La facoltà rara di immaginare l’avvenire e di precorrerlo porta all’incomprensione e alla solitudine. Ermenegildo Zegna, che sapeva essere il peggior competitor con cui avere a che fare, avrebbe voluto però poter contare su maggior coesione, su più condivisione d’intenti tra coloro che praticavano la stessa arte nel Biellese. C’erano mille opportunità da cogliere insieme (dalla conquista dei mercati esteri alla scommessa del turismo nostrano), ma nessuno o pochissimi ebbero lo stesso coraggio.

Ambiva a imporsi nei commerci e inseguiva il successo negli affari da buon “calvinista” biellese. Prendere quota voleva dire poter vedere meglio e più lontano (tanto da riuscire a osservare i maestri inglesi per studiarne le mosse e batterli sul loro stesso terreno). Prendere quota voleva dire acquisire autorità, ma anche responsabilità.

Molte persone dipendevano da lui, molte famiglie vivevano del lavoro che dava loro. Ermenegildo Zegna dormiva poco e in piena notte appariva tra le macchine, ovviamente per la gioia dei suoi operai che se lo trovavano accanto all’improvviso.

Il conte Zegna aveva piena consapevolezza del ruolo che stava giocando sia a Trivero, sia nel Biellese, ma anche in Italia e fuori. E’ evidente da come, nel 1929, decise di dar battaglia per marchiare le sue stoffe e quelle di tutti i lanaioli italiani.

Dal 1939 nella maternità del Centro Zegna di Trivero sono nati 8.000 bambini. Molti di loro sarebbero morti nascendo nelle case lì attorno e tante madri avrebbero sofferto o perso la vita. Di paternalisti così non ce n’è mai abbastanza e con la critica ideologica d’accatto di norma i problemi restano tali. Chi può deve fare, per sè e, soprattutto, per gli altri. Monsù Gildo lo sapeva bene.

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