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E’ primavera, tornano i fiori di flower landscapes

A distanza di cinque anni, la mostra Flower Landscapes – Tessuti. Fiori.  Ricette non è “appassita”. Non ha perso la freschezza di quello che è stato ed è, più che un percorso espositivo, uno sguardo al mondo attraverso gli impalpabili veli policromi del Fondo Heberlein, una collezione straordinaria che l’Archivio Zegna valorizzava nel 2015 per la prima volta. Le sete e le altre stoffe della raccolta composta da 2200 volumi campionari offrono tuttora un caleidoscopio efficace e sempre nuovo entro cui guardare per scoprire il “paesaggio fiorito”, sia che si tratti di un paesaggio reale, sia che si tratti della sua concettualizzazione e della sua simbologia.

L’accostamento dei tessuti Heberlein con le essenze floreali e con le ricette ha conferito all’allestimento e al catalogo la facoltà di restituire tutta la fantasmagoria cromatica e formale dei campioni custoditi i quei libroni che raccontano il gusto e la moda di mezzo Novecento. Ma non la prima o la seconda metà del “secolo breve”, bensì il suo cuore, cioè tra gli anni Venti e gli anni Settanta. Dieci lustri che hanno visto il mondo cambiare più volte, tra morti e rinascite, tra arte e ideologie, tra futuri e rielaborazioni. Nella collezione Heberlein c’è tutto questo. E di più.

Tornare su Flower Landscapes vuol dire richiamare i concetti espressi da Maria Luisa Frisa, Elda Danese e Alessandro Gori, introdotti da Anna Zegna e abbinati alle magie culinarie di Mina Novello. Vuol dire osservare come il paesaggio non è mai costituito da un unico “strato”. Piuttosto appare come la sovrapposizione di layer che gli conferiscono spessore. Le “diverse idee stratificate” cui fa cenno Maria Luisa Frisa nel suo intervento iniziale non sono soltanto il metodo con cui è stato realizzato l’allestimento, ma anche e soprattutto le differenti sedimentazioni che, articolate e interconnesse, producono il landscape. E il landscape non è mai soltanto la “forma del territorio”, ma la sua stessa visione, la sua rappresentazione e la sua modellazione.

Ecco quindi gli strati: quello naturale, quello della imitazione o trasposizione (pittorica per esempio, o fotografica, ma anche tessile) e quello architettonico, quando l’uomo crea o modifica il paesaggio. E l’architettura può intervenire sul paesaggio in senso proprio, con manufatti come una fabbrica di tessuti, una ciminiera, una villa, oppure cambiando il destino di un dato ambiente, con la piantumazione di centinaia di migliaia di alberi, ma anche connotando una comunità dotandola di opere di assistenza sociali e iniziative filantropiche.

Non era e non è possibile entrare nel mondo Heberlein senza punti di riferimento. I tre suggeriti dall’evento del 2015 fanno perno sui colori e, in rima, evocano fiori e sapori. Da lì i contributi degli autori spaziano dai rimandi agli erbari (i tessuti Heberlein sono essi stessi ricchissimi “erbari” di una botanica che spesso sfugge a qualsiasi tassonomia) alle citazioni per i mandala (per una lettura etimologica e semantica di un linguaggio floreale complesso e affascinante), dalla constatazione di quanto l’insieme si strutturi da sé come una wunderkammer a quanto i colori dei fiori tessuti si intonino con quelli dei fiori cucinati. Cibo e nutrimento per gli occhi in un continuo dialogo non solamente cromatico, ma anche ideale perché la percezione del landscape non è mai limitata ai sensi, ma anche allo spirito.

La mostra è visitabile nella galleria online di Google Arts & Culture

 

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