Molto più di semplici “fotografie storiche”. Così Michelangelo Pistoletto definisce le quattordici opere pittoriche che il papà Ettore P. Olivero realizzò a cavallo del 1952 e 1953 per immortalare una grande opera sociale, la costruzione della Panoramica Zegna, voluta tra gli anni ’30 e ’50 dall’imprenditore biellese Ermenegildo Zegna per favorire lo sviluppo del territorio e il benessere degli abitanti. Opere che fino al 30 giugno 2013 possono essere ammirate a Casa Zegna a Trivero (BI) nell’ambito della mostra “Ettore P. Olivero: Panoramica d’Artista”. Veri punti di osservazione su un evento storico unico nel suo genere, di cui lo stesso Michelangelo Pistoletto, allora appena diciannovenne, fu testimone diretto durante le lunghe giornate passate al fianco del padre impegnato a realizzare i dipinti dal vivo. Se chiude gli occhi, quali sono le prime immagini che riesce a visualizzare di quel periodo? MP: A quei tempi lavoravo già da qualche anno nello studio di mio padre che era sia pittore sia restauratore. Lui aveva già collaborato con Ermenegildo Zegna realizzando le gigantesche opere illustranti “L’arte della lavorazione della lana nel Medioevo” ancora oggi esposte in Sala Quadri al Lanificio Zegna. Per questo, e per la familiarità con la quale si incontrava con Ermenegildo Zegna, era considerato un po’ il “pittore di casa”. Mi ricordo perfettamente che la mattina, da neopatentato, accompagnavo mio padre su in cima alla montagna sopra Trivero con una Topolino verde e nera e poi lo lasciavo tutto il giorno immortalare nei dipinti, realizzati a olio e a spatola, le fasi di costruzione della strada Panoramica Zegna e il faticoso processo di costruzione della strada che stava nascendo fra le dure rocce della montagna. Un lavoro immane che richiese grandi sforzi, oltre a una programmazione visionaria. La mostra “Ettore P. Olivero: Panoramica d’Artista”, dove le opere di mio padre sono esposte per la prima volta al pubblico, è una sequenza ragionata di quadri che racconta l’evoluzione dei lavori attraverso la passione che mio padre provava per la montagna, perché era il luogo dove era nato e cresciuto. Era lui a scegliere gli scorci da immortalare, anche se spesso si confrontava con Ermenegildo Zegna che era sempre presente sul posto durante i lavori. Osservando tutte le opere insieme si riesce a percepire quel rapporto speciale tra arte e società e quella visione di vita in progress che li anima, ma anche l’ambizione che accomunava i due uomini. Suo padre sosteneva che la semplicità e la ricchezza possono essere una cosa sola e che anche un’immagine comune e quotidiana può stimolare i sensi più elevati. Quanto influii in questa sua visione dell’arte la sordità che lo colpì a otto anni? Quando perse l’udito a causa di una meningite, mio padre passava le giornate scolastiche a copiare l’affresco di una Madonna che vedeva dalla finestra della classe. Da quel momento iniziò a vedere il mondo attraverso la pittura e l’arte diventò una splendida vittoria sul suo handicap. Immerso nel silenzio, vagava nelle pianure ai piedi degli alti monti della Losa e nei boschi che incombevano sulle umili case dei borghi, contemplando la natura che poi, per amore, dipingeva. La sua era una pittura realista, dava molta importanza alla possibilità di parlare con la gente per scoprire come vivevano, la storia e le tradizioni locali. Per questo motivo spesso si fermava, quando iniziò il progetto per Ermenegildo Zegna, a dialogare con gli operai impegnati nella costruzione della Panoramica e con gli abitanti di Trivero che avrebbero beneficiato di questa grande opera sociale. Secondo il Codice dei Beni Culturali, il paesaggio è un “organismo vivente” in perenne evoluzione plasmato dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. Che tipo di paesaggio scaturì dalla costruzione della Panoramica? Secondo la visione di Ermenegildo Zegna, la strada fu costruita per consentire alla comunità locale di vivere in prima persona la montagna, godendo della gioia di passeggiare nei boschi a contatto con la natura e respirandone l’aria pura. In quegli anni il turismo come lo intendiamo adesso iniziava a fare i primi passi, le persone cominciavano ad avere tempo libero da dedicare a se stessi. Ermenegildo Zegna aggiunse un’alternativa, facendo della natura l’obiettivo da raggiungere, quasi fosse un tempio religioso o un santuario. La grande lungimiranza dell’imprenditore biellese fu di permettere alle persone di accedere a un luogo unico come la montagna attorno a Trivero attraverso la costruzione della Panoramica Zegna, consapevole del fatto che se la montagna resta isolata muore. Quanto fu importante la figura di suo padre per il suo percorso artistico? Mi insegnò a disegnare fin da piccolo. A partire dai quattordici anni iniziai a lavorare nel suo studio e le operazioni di restauro che realizzai in quel periodo sono state la migliore scuola che potessi fare, perché mi permisero di vivere la storia dell’arte istante per istante. Mio padre voleva sempre che dipingessi, ma io avevo deciso che non avrei mai fatto il pittore. Ero abile a disegnare e Armando Testa mi aveva chiesto di entrare nel suo studio pubblicitario. Forse lì ho capito che mi stavo appassionando all’arte contemporanea. Dopo un anno ho deciso di mettere su per conto mio uno studio che ho portato avanti per qualche anno, perché cercavo una mia indipendenza, anche se continuavo ad aiutare mio padre. Facevo questi due lavori opposti, per un certo periodo, tutti e due basati sul disegno, sul colore, sull’immagine, però uno di totale conservazione e l’altro di propulsione. Sono convinto che i miei quadri specchianti dipendano da tali esperienze. Mio padre è sempre stato attento ai miei lavori tanto che, nel giugno del 1973, realizzammo insieme una mostra alla Galleria Sperone di Torino: lo convinsi a produrre alcuni lavori che si relazionavano con la mia opera, nature morte raffiguranti oggetti metallici che riflettevano lo spazio circostante, incluso lui stesso nell’atto di dipingere. In quell’occasione mio padre divenne mio allievo. Nell’anno in cui celebra il suo 80° compleanno, per la prima volta il Louvre di Parigi ospita una sua personale. Vive questo evento come un tributo a suo padre? Mio padre mi ha fornito le basi per essere quello che sono diventato. Nella mostra che abbiamo realizzato insieme a Torino nel 1973 io sono diventato il suo osservatore, gli ho portato l’eco di ciò che avveniva nel mondo in ambito artistico, quella ricerca dell’autonomia dell’arte rispetto all’immagine tipica della modernità. Attraverso l’arte moderna, io sono riuscito a seguire un percorso che a mio padre restò nascosto, visto che non partecipò al fremente dibattito di quei tempi. Sono fiero che oggi, senza saperlo, anche lui è arrivato con me al Louvre. Leggi le informazioni sulla mostra “Ettore P. Olivero: Panoramica d’Artista”
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