Da Venezia a Londra per approfondire la storia della moda maschile italiana negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale: Marta Franceschini, laureatasi presso l’Università IUAV di Venezia, ha da poco concluso il master in History of Design presso la Royal College of Art di Londra. Le ricerche per la sua tesi, dal titolo “Arbiter. Writing Fashion, Style and Masculinity in Italy, 1935-1952” l’hanno portata a Trivero, all’archivio di Casa Zegna, dove sono conservati la maggior parte dei numeri della rivista: una fonte unica e preziosa di informazioni.
Marta, puoi raccontarci come è nato il tuo interesse per questo argomento?
Desideravo approfondire le mie ricerche sull’identità maschile italiana: un tema di cui tutti parlano ma di cui pochi conoscono le caratteristiche. Ho notato come la maggior parte degli studi condotti fossero di carattere sociologico, ma nessuno aveva ancora utilizzato il punto di vista della moda. Per fare un esempio: si è parlato tanto di virilismo fascista, ma nessuno si era ancora interrogato su cosa ci fosse oltre la divisa imposta dal regime. Mi interessava studiare il passaggio dalla produzione della stoffa all’attenzione per la linea, che tipo di relazione c’era tra il tessuto e l’abito.
Grazie a Maria Luisa Frisa, direttore del corso di laurea che avevo frequentato a Venezia, ho conosciuto l’archivio Zegna, dove ho potuto iniziare le mie ricerche. Qui ho spostato la mia attenzione su Arbiter, la prima rivista italiana ad occuparsi di eleganza maschile, non solo dal punto di vista sartoriale, ma dal punto di vista della moda, intesa come stile di vita. Una rivista che ci ha trasmesso un network di sarti, di produttori di tessuti, di editori, di artisti… una lente privilegiata per esplorare la relazione tra l’uomo e la moda, per comprendere l’identità maschile italiana.
Quale fu il ruolo di Arbiter nell’evoluzione della moda di quegli anni?
La rivista ebbe un ruolo interessante sia nella definizione dell’identità maschile attraverso la moda, sia nella costruzione di un’identità nazionale. La moda era uno strumento importante per delineare l’aspetto degli italiani, quindi anche l’uomo doveva preoccuparsene. Per me questo è stato il lato un po’ nascosto della medaglia, considerato che nell’immaginario dell’epoca fascista degli anni Trenta e Quaranta non si parlava molto eleganza maschile.
Le mie ricerche sono poi andate oltre il periodo della guerra, per capire come gli uomini avessero “negoziato” la loro identità nazionale dopo il crollo di un’ideologia così forte come il fascismo. Come riconsiderarsi italiani quando nel 1935-37 essere italiani era concomitante all’essere fascisti? Al termine della guerra si avvertiva la necessità di riappropriarsi della propria nazionalità distaccandosi da quella che era l’ideologia dominante in precedenza. Era cambiato anche l’atteggiamento che la società aveva nei confronti della bellezza maschile: prima vedere un uomo fare il modello era inconsueto, era considerato poco virile… mentre alla fine degli anni Quaranta iniziano le prime sfilate maschili. L’attenzione per lo sport, per il corpo maschile, prende una direzione diversa dopo la guerra. La storiografia su questo tema considera la guerra come uno “spartiacque”, mentre è interessante riflettere sulla continuità, sul fatto che ci fossero le stesse persone, prima e dopo, per analizzare come abbiano affrontato questa transizione, come abbiano vissuto questo passaggio epocale. Nella rivista Arbiter i sarti si interrogano su come “vestire la repubblica”, dopo aver “vestito il regime”.
Quale fu invece il ruolo della Zegna, anche in rapporto alla rivista Arbiter?
L’inizio della mia ricerca parte dal 1935, quando fu pubblicata la rivista Arbiter. In quell’epoca i tessuti italiani di qualità, per essere venduti, erano commercializzati come inglesi. La Zegna era preparata a competere con le stoffe inglesi, al punto da realizzare una pubblicità autarchica con la catena del Made in England spezzata da un pugnale di stoffa Zegna. Come ricorda l’ing. Aldo Zegna in un’intervista, Ermenegildo Zegna prese la decisione importante di marchiare il proprio nome sulle sue stoffe”. In questo contesto, Zegna è stato uno dei primi sostenitori di Arbiter e pioniere nel costruire una narrativa intorno agli oggetti. Questo è stato il passaggio epocale che la moda fece nel trasformare un semplice oggetto in un oggetto del desiderio. L’intuizione di costruire una storia intorno agli oggetti che venivano prodotti, per mitizzarli, insieme all’attenzione dedicata alle campagne pubblicitarie, è stata sicuramente targata Zegna. La corrispondenza conservata nell’archivio è stata fondamentale per capire cosa succedeva dietro le quinte.
Come è stata accolta la tua tesi e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La tesi è stata accolta molto bene, ed è stata presentata anche a una conferenza internazionale al Courtauld Institute of Art sulla lettura delle riviste in chiave storica. Adesso, per essere più vicina all’oggetto della mia ricerca, sto proseguendo il mio percorso a Venezia, dove seguo il dottorato in scienze del design, con particolare focus sulla moda.