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Ermenegildo Zegna, il primo chef “stellato” dei tessuti

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Il primo segno distintivo dei tessuti Zegna è stato una stella. E’ il 1929 e a Trivero quella stella comincia a brillare. Lo chef Ermenegildo Zegna si trova in una situazione particolare, uno di quei momenti in cui si deve scegliere se puntare su ricette affidabili e collaudate, ma destinate a non stupire più, o rischiare i tanti affezionati clienti innovando, per conquistare il gusto del mondo intero. Capita anche ai grandi cuochi. Quelli fenomenali, come Bocuse, lasciano il vecchio per il nuovo ed ecco le stelle Michelin.

Fuori di metafora, Ermenegildo Zegna ha di fronte a sé una situazione niente male: non deve (il mercato non glielo impone), non può (la congiuntura nazionale e internazionale non è favorevole, è pur sempre l’anno del crollo di Wall Street…) e, soprattutto, non vuole (è già al top di gamma) cambiare i suoi tessuti. Eppure sa che qualcosa va trasformato. Ambisce alla prima stella (adesso sono cinque). Allora usa una stella. Ciò che “inventa” è una differente percezione del prodotto da offrire attraverso il marchio. Il primo. Il primo marchio non solo per Zegna, ma per tutti i lanifici del Regno d’Italia. Un marchio forte, italiano: Electa. Una narrativa chiara, nobile (tra la latinità del nome e il Rinascimento fiorentino dell’Agnus Dei inscritto nella stella) e, più ancora, inedita per un oggetto, il tessuto, che fino ad allora o parlava inglese o era muto. Electa non è un tessuto, non è una linea, è la produzione Zegna che si presenta sul mercato con una riconoscibilità senza precedenti, senza complessi d’inferiorità e con tutte le intenzioni di dimostrare che il gap con la Gran Bretagna era ormai diventato molto esiguo, colmabile e superabile nel giro di poco (come in effetti è avvenuto alle soglie dell’ultima guerra).

Electa Fratelli Zegna di Angelo fu depositato e registrato come marchio nazionale nel 1929, il 14 novembre, e come marchio internazionale nel 1930. Era applicato tramite incollatura e stiratura direttamente sul tessuto. E’ composto da una stella a cinque punte con l’immagine dell’Agnello Mistico al centro con aureola e banderuola (ovvero il cartiglio che in ambito religioso reca, di norma, la scritta Ecce Agnus Dei) e le cifre “F Z A” disposte a corona nei tre vertici superiori della stella. La pecora rappresentata pare essere una merino ed è raffigurata secondo lo stile già in uso presso i lanaioli fiorentini che ne avevano fatto il simbolo dell’Arte della Lana (è raffigurato anche sul campanile di Giotto). La scelta della parola Electa è in linea con l’abitudine dell’epoca di affidare al latino i messaggi pubblicitari orgogliosamente nazionali, legati a prodotti italiani. Il termine indica “cosa scelta, elevata” quindi di pregio e di eccellenza. Tale segno era utilizzato non solo per marchiare i tessuti, ma anche nelle campagne pubblicitarie su riviste di settore (come “Arbiter”), accompagnato dalla rappresentazione grafica o fotografica dello stabilimento di Trivero.

Per scoprire i tessuti Electa basta sfogliare un campionario del 1930 o un bunch degli anni appena precedenti o successivi. Le tipologie non sono diverse da quelle delle stagioni del 1928 né da quelle dei primi anni Trenta. Così come rimangono invariati i pesi e i finissaggi. L’armatura di riferimento era il casimir, ossia una batavia, un intreccio apparentemente semplice, il più classico per la drapperia. Ma in realtà i panni Zegna erano ben assortiti e mai banali nei cromatismi, erano ottenuti con ottimi filati (cardati e pettinati, con titoli compresi tra il 2/28 e il 2/80) ed erano ricavati da materia prima buona. Per poi essere finiti con tecniche nobilitanti che conferivano ai tessuti Zegna la sua inconfondibile qualità. Accanto ai casimir si scopre qualche tela (265 grammi al metro), ma Ermenegildo Zegna puntava non tanto sulla complicazione dei passaggi tra trama e ordito, bensì sugli effetti di disegno (belle le gabardine da 420 grammi), di colore (da segnalare i jaspé 50% cotone indicati come “impermeabili” e come “esclusivi Tayloring”) e, soprattutto, di finissaggio. Nel periodo 1928-1930 andavano i foulé (600 grammi) e i bivver, cioè i beaver, tinti in filo e piuttosto morbidi malgrado gli 890 grammi, i melton e le vigogne (che non hanno niente a che vedere con la vicuña e che si facevano, un po’ ruvide, con laps merinos e lana del Capo). Immancabili i paletot: gli scozzesi da 770 grammi tessuti con lana argentina e i velour (filato cardato) da 920 grammi che potevano contare sulla resistenza della lana pugliese presente con il 30% nelle mescole).

Stesse armature, dunque, e stessi filati, stessi disegni. Eppure tutto è differente perché il grossista o il sarto desiderosi di distinguersi potevano acquistare non un anonimo panno da spacciare per un farlocco made in England, bensì il tessuto vero di un vero lanificio biellese che osava (non senza problemi, creati anche da chi – come la Laniera – avrebbe dovuto sostenere l’iniziativa e non ostacolarla) affermare attraverso una firma stellata la qualità Zegna, buona da… indossare.

 

 

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