La Valsessera ha un versante nascosto. Una parte consistente della sua personalità così forte non si vede. È celata nella sua particolare storia geologica che la rende un posto unico e tutto da scoprire. Sotto le teggie e i pascoli, sotto i boschi e le rocce superficiali, sotto il torrente e i suoi affluenti, la tettonica a zolle ha scritto un romanzo di pietra e di metalli che non può non sorprendere, soprattutto perché è ancora sconosciuto ai più.
Tanto per cominciare, attraverso la Valsessera passa una linea di subduzione chiamata “Insubrica” che, in parole molto povere, è un tratto di crosta terrestre dove una placca affonda sotto un’altra. In questo caso, la placca del continente europeo è “scivolata” sotto quella del continente africano per milioni di anni. Semplificando ancora di più, dal punto di vista geologico, Mera è in Europa, mentre Bielmonte è in Africa. Per chi sa leggerle, le tracce di questo immane movimento sono evidenti e basta questo a rendere la Valsessera ancora più speciale di quanto lo sia già.
Ma c’è molto altro. Non a caso l’ingegner Paltrinieri nel suo progetto di bonifica integrale del bacino dell’alto Sessera del 1940 includeva, tra le possibilità di sfruttamento e di sviluppo dell’aera, tanto l’attività estrattiva mineraria quanto quella turistica.
Nell’idea di Ermenegildo Zegna, elaborata e formalizzata allora, si univano già queste due visioni, per quanto non fosse prevedibile il percorso storico compiuto poi effettivamente dalla Valsessera e dai suoi attuali valorizzatori.
Quindi la Valsessera era zona di miniere? Certamente! E non da ieri, bensì dal Medioevo. Lungo il Sessera, sui pendii delle sue montagne, si estraevano e si lavoravano in loco diversi metalli. Argento, ferro, rame e non solo. Un toponimo antico come Argentera non nasce a caso e, in effetti, gli uomini hanno scavano la Valsessera per almeno otto secoli. Alle Rondolere si fondevano i minerali ferrosi e si ottenevano armi e utensili. Nel Settecento l’opificio attivo a valle dell’Argentera produceva acciaio e ghisa con macchinari messi in moto dall’acqua del Sessera. Quella della Valsessera è stata una rivoluzione industriale mancata e, tutto sommato, è andata bene così.
La zona compresa tra l’Artignaga e la Piana del Ponte, tra la Pietra Bianca e l’Alpe Quara, tra l’Isolà, le Torrette e la Montuccia, è stata “coltivata” (si dice così) con intensità, soprattutto nel XVIII secolo.
L’area mineraria e siderurgica della Valsessera costituiva un vero e proprio sistema articolato e organizzato in termini protoindustriali, con miniere estese e profonde, vie di comunicazione dedicate, impianti di lavaggio e raffinazione, fonderie e forge. Ma il paesaggio è stato solo minimamente caratterizzato, non ferito o snaturato dall’azione dell’uomo.
Ancora durante la Grande Guerra in Valsessera era in esercizio una miniera di corindone, pietra durissima (la seconda dopo il diamante) parente stretta delle gemme preziose, tra cui lo smeriglio, utilizzata proprio per smerigliare, levigare, affilare, anche in ambito bellico. E le rocce corindonifere della Valsessera sono davvero particolari, tant’è che il geologo Federico Millosevich nei primi anni Trenta le battezzò come sesseraliti.
Oggi, in Valsessera, la dimensione possibile della mineralogia e della metallurgia è quella turistica. I segni affascinanti di quel passato sono ben identificabili e offrono un’opportunità di esperienze non ordinarie, che fondono la scoperta di quell’antica cultura del fare con il contatto con la natura.
I luoghi delle miniere e delle strutture ad esse connesse, recuperati in anni di impegno appassionato e qualificato da parte del DocBi Centro Studi Biellesi e, sul campo, da esperti come Maurizio Rossi e Anna Gattiglia, sono adesso raggiungibili e riconoscibili. È il caso di dirlo: la Valsessera è un giacimento inesauribile di bellezza e di storia.