Facciamo un giro sulla Panoramica. Non ci vorrà molto per renderci conto che i suoi panorami non si rivelano solo agli occhi.
L’orizzonte non è solo quello dello spazio, ma anche quello del tempo. Tutto il Biellese, da quassù, sembra nato da queste montagne, come franato giù da queste balze. Seguendo i pendii, le baite solitarie diventano borgate, gli abitati dapprima isolati tra i pascoli e boschi si fanno via via più densi tra le colline. I villaggi nelle vallate diventano Biella e Cossato che, ormai, non “staccano” più.
Infine, le baragge e le risaie, finchè lo sguardo si perde nella foschia della piana o sulla linea perfetta della Serra. E oltre, altri colli e altri monti lontani. Centottanta gradi di visuale dal Mucrone al Bernina, dal Monviso alla Madunina che dominet Milan, da San Gaudenzio a Superga.
Nel tempo il panorama racconta di pastori che si trasformano in tessitori, che nei secoli scendono dai loro monti e si raccolgono nei paesi sorti lungo i torrenti più potenti, che costruiscono fabbriche e ciminiere come a Manchester, senza esserci mai stati, che aggiungono gli shed col profilo delle montagne, che negli ultimi decenni escono dalle valli e trapuntano il piano con i capannoni, le superstrade e i centri commerciali. Tutto sembra così distante, eppure è tutto qui, appena oltre il ciglio della carreggiata, dove i ciuffi di siun spuntano tra le rocce ai nostri piedi. Fino alla massima distanza dello sguardo. Prossimo e remoto. Guardar lontano e veder vicino, direbbe Philippe Daverio.
Percorrere la Panoramica significa scoprire e stupirsi, significa alternare e percepire diversità. La Panoramica svela dall’alto il Biellese unico e composito. La Valsessera non è la Valle Cervo, il boscoso Mortigliengo non è l’antico marchesato d’Andorno, il San Bernardo non è San Giovanni.
La roccia dell’Argimonia è quella delle crode valsesiane e ossolane, e la sienite della Balma è un’altra cosa. Prima di Bielmonte si incontra solo qualche malga, poi si supera il Bocchetto Sessera e si scende fino a Piaro e a Forgnengo, sfiorando Oriomosso e Sassaia. Al Monticchio sono pendii dolci e un cielo d’Irlanda, al Margosio, quando si levano le brume, appare uno scenario romantico, bello e sublime, come nei quadri di Friedrich e di Stifter.
I colori della Panoramica si accendono all’alba o al crepuscolo. Se si ha modo di passare in quelle ore, magari con le nuvole che corrono o appena dopo un temporale, il bianco delle betulle è più bianco, le bacche rosse sono più rosse, l’erica è un panno di un viola brillante drappeggiato sulle rupi, le felci formano onde verdissime, l’argento e il rame dei faggi e delle foglie cadute catturano lo sguardo e raccontano i misteri d’ombra delle forre.
Tanto incanto è un regalo della natura, ma anche della fatica degli uomini. La Panoramica e i suoi panorami sono un susseguirsi di facili accordi e di lotte durissime tra la volontà di tracciare la strada e la conformazione del suolo.
I segni di questa storia avventurosa e tumultuosa sono ancora evidenti. Le curve dolci tra l’erba preludono alle rupi spaccate con le barramine, ai tratti modellati coi soli badili seguono le gallerie scavate con l’esplosivo. Santa Barbara ricorda che le montagne non si domano facilmente.
Ma per tutto è valsa la pena. Dai poggi si godono viste mozzafiato. Che siano le frazioni della Bürsch o quelle del Triverese, che sia il Brich di Zumaglia o la Rovella, non c’è miglior modo per vedere il Biellese. Da quassù anche il ponte della Pistolesa è poca cosa e quasi bella.
Poi sale la nebbia o scende la notte. Il paesaggio scompare velocemente. La Panoramica a volte nasconde i suoi panorami. E resta solo la strada.