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Zegna e l’acqua, un secolo di buone pratiche

Piancone

Fin dall’inizio della sua attività, il Lanificio Zegna ha dovuto far fronte alla considerevole necessità d’acqua che hanno tutti gli opifici lanieri. Le lavorazioni della lana richiedono una cospicua quantità e una certa qualità di un elemento naturale sempre più raro e prezioso.

Lavaggi, tintura, processi basati sul vapore e finissaggi di vario tipo richiedono ingenti volumi d’acqua.

Il sito ove è sorto il lanificio a Trivero non offriva la disponibilità idrica che, invece, potevano assicurare i torrenti come il Cervo, il Ponzone, il Sessera o lo Strona. Sotto questo punto di vista, il destino del Lanificio Zegna fu diverso, e per certi versi unico, rispetto a quello degli altri lanifici fondati in precedenza o nello stesso periodo in altre località del Biellese.

Ermenegildo Zegna non era nella condizione di sfruttare la poca acqua disponibile per generare forza motrice (tant’è che lo stabilimento nacque “elettrico” e non “idraulico”), ma non volle comunque rinunciare a impiantare il suo lanificio a ridosso dei monti e non nel fondovalle, garantendo così un posto di lavoro ai suoi compaesani che, altrimenti, si sarebbero visti privare di una imprescindibile opportunità di sostentamento.

In ogni caso, al di là del discorso della forza motrice, per far sì che il Lanificio Zegna potesse entrare in esercizio quassù fu necessario assicurarsi l’accesso a tutte le risorse idriche possibili, a partire dai due ruscelli che incidono il territorio scorrendo accanto all’opificio, il Baso a nord-est e lo Scoldo a sud-ovest, i cui alvei si mantengono per un tratto paralleli, prima che il primo diventi affluente del secondo, e quest’ultimo del torrente Ponzone.

Il Lanificio Zegna è stato costruito in una sorta di piccola “Mesopotamia”, una terra tra due corsi d’acqua esigui per percorso, ma discretamente affidabili per continuità di flusso. Il Baso e lo Scoldo rappresentano, per quanto di minima portata, i due pilastri liquidi su cui poggia il lanificio di Trivero.

Ermenegildo Zegna ha dovuto creare il suo “torrente” dove non c’era, un torrente ricavato per lo più dai due rivi più prossimi, un torrente che non scorre accanto o ai piedi dello stabilimento come nelle vallate, ma che si genera dentro la fabbrica, sommando quasi goccia con goccia.

Sullo Scoldo in regione Lora e Oro, già anticamente, esistevano mulini mossi dall’acqua sulla quale anche gli Zegna avevano diritti d’uso. Il Baso, invece, fu dapprima irreggimentato con una canalizzazione forzata in ampie condotte capaci di alimentare le cisterne di pronto uso e le vasche di riserva del lanificio. Il tutto senza lunghi canali che potevano alterare il naturale scorrere dei due riali.

Con la previsione di ampliare il lanificio, cioè di incrementare il fabbisogno idrico in ragione dell’aumento della produzione, e anche per assicurarsi un consistente apporto di acqua potabile (da destinare anche alle opere socio-assistenziali e allo sviluppo edilizio finalizzato ad accogliere le maestranze dello stabilimento), Ermenegildo Zegna acquistò diverse sorgenti non già sfruttate dislocate lungo i pendii del Monte Rubello.

Sulle falde della cima dominata dall’oratorio dedicato a San Bernardo alcune fonti “davano” – come si dice in gergo – minime, ma significative quantità d’acqua “buona”, filtrata dal terreno e dagli strati rocciosi sottostanti. I contratti di compravendita di quelle sorgenti, alcuni dei quali datati già ai primi anni Dieci, si conservano nell’Archivio Zegna.

Lo stretto vincolo tra il Lanificio Zegna e l’acqua si è mantenuto anche quando Ermenegildo Zegna ha inteso generare autonomamente un sufficiente quantitativo di energia elettrica. Come detto l’elettrificazione di Trivero, attuata all’inizio del Novecento e voluta soprattutto da imprenditori attivi sul territorio come il padre dello stesso futuro Conte di Monte Rubello e gli zii Lesna, ha permesso l’industrializzazione di un’area che diversamente sarebbe rimasta tagliata fuori dal progresso che il resto del Biellese stava già vivendo.

Quel primo antico contributo, però, non avrebbe consentito di migliorare né di amplificare la produzione tessile. Per ingrandire lo stabilimento e per far girare più macchine occorrevano più ampere. È per questo motivo, unitamente alla volontà di rendersi il più possibile autonomo anche in chiave energetica, che Ermenegildo Zegna decise di intervenire sul bacino del Sessera per impiantare una centrale idroelettrica.

Il complesso del Piancone, alimentato dalla soprastante diga delle Mischie tramite la condotta forzata inserita in un tunnel artificiale, fu inaugurato alla fine del 1938 ed è tuttora in funzione. Negli ultimi anni altri due piccoli impianti idroelettrici attivati lungo il Sessera hanno incrementato il sistema di produzione energetica ecosostenibile del lanificio.

Ma oggi l’industria non è solo uso dell’acqua, ma anche e soprattutto rispetto e restituzione dell’acqua pura alla Natura. Anche in questo settore il Lanificio Ermenegildo Zegna non ha atteso che la depurazione idrica diventasse di moda…

Le sorti industriali di questo territorio sono strettamente connesse a quelle idriche: non si può realizzare un tessuto bello producendo una brutta acqua. E come per il tessuto, anche per l’acqua Ermenegildo Zegna ha un po’ anticipato la moda.

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