Fino al 12 novembre 2023 la Fondazione Zegna ospita la mostra dell’artista di origine biellese Roberto Coda Zabetta “E il giardino creò l’uomo” realizzata appositamente per gli spazi espositivi di Casa Zegna. Abbiamo intervistato l’artista per scoprire come la serie di opere “Frana e Fango” e il suo approccio artistico riflettano la complessità delle connessioni tra uomo e natura, in linea con la visione di Ermenegildo Zegna stesso.
Roberto, da qualche anno hai lasciato il Biellese per trasferirti nelle Marche, dove hai uno studio… questa mostra segna un ritorno a un paesaggio a te famigliare; quale è il tuo rapporto con il territorio?
Essere qui è un’esperienza che mi riempie di emozioni e non posso fare a meno di esprimerlo con profonda sincerità. In un certo senso, ho sempre cercato di allontanarmi da questo territorio, una ricerca che non è mai stata una fuga dalla sua bellezza o dalla possibilità di creare qui. Piuttosto, volevo esplorare altre direzioni, dar vita a qualcosa che mi appartenesse in modo più intimo e personale.
Nel corso di questi ultimi sei o sette mesi, ho fatto un ritorno graduale nell’ambiente che avevo inizialmente cercato di lasciare. È stata un’immersione che mi ha ricordato quanto sia vasto e profondo il legame che inevitabilmente mi lega a questo luogo. Ed è proprio questo legame che la mostra cerca di raccontare: la connessione intrinseca tra l’uomo e la terra, una connessione che spesso ci spinge a scappare dalle nostre origini, solo per ritrovarci inevitabilmente richiamati indietro, con un affetto profondo per la terra che chiamiamo casa.
Questo ritorno è stato per me una rivelazione; è stato un po’ come portare il cuore della terra e inserirlo in un contenitore artistico, creando un dialogo profondo tra la mia espressione creativa e l’essenza di questo luogo straordinario.
Lo spazio espositivo di Casa Zegna è un luogo che si è evoluto nel tempo, inizialmente era un giardino d’inverno… Come hai lavorato per portare questo dialogo nel contesto di Casa Zegna?
Gli spazi che ospitano la mostra sono stati trasformati da serra in luogo espositivo con molti vetri e luce. Ciò che era in origine è stato mantenuto in parte, e le opere esposte diventano quasi la sovrapposizione pittorica all’interno di una serra contemporanea. Il vetro è un elemento chiave, in quanto le opere cambiano notevolmente con le diverse luci, creando un dialogo tra la natura, il tempo e il mio lavoro.
È interessante come il tuo lavoro richieda tempo e pazienza, proprio come la natura stessa. Puoi condividere con noi il tuo processo creativo, dal concepimento dell’opera fino alla sua realizzazione?
Il processo creativo è basato su un’idea estetica che proviene dalla mia mente. Parto con la prima velatura, lavorando in strati, stendo il materiale con le spatole mantenendolo fresco e liquido per evitare sovrapposizioni e mescolanze eccessive di colori. Utilizzo quindi l’aria compressa per costruire un’opera figurativa, tridimensionale, creando una sorta di esplosione di colori. Questo metodo richiede molte ore consecutive di lavoro, affinché il materiale resti “vivo”. È un processo che richiede tempo e precisione, e il risultato finale rivela sempre una sorpresa, proprio come la natura: mentre lavoro, cerco di mantenere una connessione fisica con l’opera, proprio come quando si lavora la terra.
Come si collega la tua opera con il libro di Jorn de Précy “E il giardino creò l’uomo”?
Il titolo “E il giardino creò l’uomo” è un richiamo al libro omonimo di Jorn de Précy, un filosofo e giardiniere appassionato vissuto tra Otto e Novecento. Questo collegamento sottolinea l’importanza della connessione tra l’uomo, la natura e il suo ambiente circostante. Nel suo libro, de Précy sostiene che l’essere umano, per essere un vero giardiniere e creare un autentico giardino, debba ascoltare le voci della natura e del genius loci, lo spirito del luogo. Nelle mie opere, cerco di catturare proprio questa relazione e di esplorare le connessioni profonde tra l’uomo e la terra.
È affascinante come tu abbia creato un legame tra il tuo lavoro e la natura che ti circonda, soprattutto nella tua residenza nelle Marche. Ci puoi parlare della serie di opere “Frana e Fango” e come hai trasferito questa esperienza nella tua pittura?
Questa serie è stata ispirata dalle esperienze che ho vissuto nella mia residenza nelle Marche, una regione che ha dovuto affrontare numerosi terremoti e alluvioni. L’idea è emersa dalla fusione tra l’impatto della natura e la mia ricerca artistica. Ho voluto affrontare questi eventi in maniera estetica, piuttosto che drammatica, cercando di catturare l’energia e la trasformazione continua che la natura rappresenta.
L’ispirazione per questa serie è nata proprio osservando la forza della natura e il suo ciclo inarrestabile di cambiamenti. Ho sentito la necessità di rappresentare visivamente la connessione tra gli elementi naturali e il mio lavoro artistico.
Nel mio processo creativo, ho cercato di trasmettere questo concetto attraverso strati di colori, texture e forme che evocano il movimento della terra e l’effetto delle forze naturali. Il mio intento era quello di invitare gli spettatori a riflettere sulle connessioni tra il mondo esterno e la sfera artistica, creando un dialogo tra l’opera d’arte e l’osservatore.
“Frana e Fango” è una scritta che trovato su un cartello appena dopo l’ultima alluvione che ha colpito le Marche… rappresenta per me un tentativo di cogliere l’essenza dell’interazione tra l’uomo e la natura in tutte le sue sfumature, sottolineando l’idea che anche nel caos e nella distruzione c’è spazio per la bellezza e la rinascita.