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Atmosferica. Sentire lo spazio

Ilaria Bonacossa in conversazione con Rebecca Moccia

rebecca moccia e ilaria bonacossa

IB: Atmosferica nasce per Oasi Zegna da un lungo lavoro di ascolto del luogo. Come spesso nella tua pratica le tue mostre nascono come dei veri e propri laboratori in fieri in cui l’influenza collettiva e la storia dei luoghi influisce sulla genesi concettuale e formale dei progetti. Come nasce Atmosferica? Cosa ti ha colpito delle tue prime visite?

RM: Sin dalle prime visite a Trivero mi ha colpito lo spazio espositivo di Casa Zegna: essendo collocato in un ex-giardino d’inverno, lo spazio è completamente vetrato e la luce cambia molto a seconda dell’ora o della stagione. Inoltre, la temperatura al suo interno è condizionata artificialmente il minimo necessario (solo di inverno), per questo, appena arrivata ho avuto subito la sensazione di essere in simbiosi con il paesaggio montano. Contemporaneamente ho scoperto la speciale relazione di Zegna con il territorio, l’unione di queste sensazioni mi ha spinta a costruire il progetto espositivo sull’interdipendenza umana con l’ambiente.

Per fare questo, ho lavorato sul cambiamento e il susseguirsi delle stagioni e quindi delle temperature – che sono incorporate nelle opere in mostra- e sulle atmosfere che questi cambiamenti portano con sé: il loro valore pratico/simbolico nell’era della crisi climatica, soprattutto in ambiente montano; i sentimenti di perdita e nostalgia legati al loro graduale scomparire; i gesti/azioni di resistenza per invertire questa tendenza e come questi valorizzino l’interconnessione tra esseri umani e non umani.

Più concretamente, Atmosferica è ispirata al metodo vernacole di regolazione della temperatura degli ambienti che implica il vestire e svestire lo spazio come un organismo vivente seguendo il ritmo delle stagioni, e quindi larga parte delle opere in mostra nascono dai tessuti.

 IB: La mostra ha due momenti, due stagioni in cui cambia la ‘temperatura e il temperamento dello spazio’, cambiando le opere, i colori e i tessuti, riportandoci a una tradizione in cui le stagioni e i cambi di clima erano vissuti e incorporati nelle abitudini quotidiane e non combattuti alla ricerca di un comfort che ha un impatto non sostenibile sull’ambiente.

RM: Il progetto nasce da una riflessione specifica sull’ambiente in contrapposizione al comfort/benessere umano, in questo caso in relazione al condizionamento della temperatura nostri spazi, e lo studio dell’anti-comfort (citato ad esempio da Pezeu-Massabuau in A Philosophy of Discomfort)[1] come contrappunto percettivo che può assumere oggi un valore di resistenza soprattutto se lo mettiamo nella prospettiva della crisi ambientale, in cui la frenetica ricerca del ‘benessere‘ dell’umano mette in scacco l’equilibrio dell’intero sistema. Prima della diffusione dei moderni riscaldamenti e dell’aria condizionata, le costruzioni vernacolari hanno temprato i loro occupanti insegnando loro a tollerare i cambiamenti stagionali, progettando diverse forme di convivenza con essi che, a discapito di un leggero discomfort, riuscivano ad amplificare le percezioni.
Era usanza regolare la temperatura degli ambienti attraverso tessuti ed altri materiali naturali. Si vestiva e svestiva lo spazio, seguendo il ritmo delle stagioni. Questo modo di vivere lo spazio come un organismo vivente che seguiva il ciclo naturale, marcava un legame con il mondo che, con l’avvento della climatizzazione dell’aria, e in parallelo all’allontanamento fisico e filosofico moderno da esso, è andato perduto.[2] 

Il mio interesse verso questi metodi premoderni legati in particolare al tessuto, è innanzitutto l’enfasi sul tessuto stesso, con la sua vicinanza al nostro corpo e la nostra particolare sensibilità ad esso, come possibile perno di un rapporto di interdipendenza e convivenza con l’ambiente, questione che ritrovo nel lavoro di Zegna nel suo territorio. 

Un territorio a cui, coerentemente con la mia pratica, mi sono approcciata come luogo-di-vita e di appartenenza in contrapposizione ad una concezione neoliberale di spazio-senza-luogo, uno spazio vuoto che è possibile e giusto sacrificare in nome del “globale”[3]

Inoltre, il tessuto rende immediato il legame della temperatura con il senso del tatto e le proprietà fondamentali di questo senso per la nostra sopravvivenza. Attraverso le sensazioni tattili, siamo infatti in grado di rilevare variazioni di pressione, temperatura e texture: il tatto ci permette di esplorare l’ambiente circostante, di comunicare con gli altri e di provare emozioni attraverso il contatto fisico. Una delle prime cose che ho notato nel visitare Trivero è stata come le persone esprimessero qui una spiccata tattilità attraverso particolari gesti delle mani.

IB: Lo spazio della Fondazione è scandito da quattro nuclei compositivi, la trasformazione dello spazio sia cromatica, che termica che tattile (stagione calda e stagione fredda); l’opera video nei tre grandi schermi come finestre sulla storia e le persone che abito l’oasi; il sound-scape che porta i suoni dell’oasi nello spazio creando un’interazione tra naturale e artificiale e infine le opere ‘tessili’ create dal tuo lavoro in collaborazione con San Patrignano. Come sono nate le diverse parti della mostra?

RM: Nel corso della mostra, un primo momento – da maggio ad agosto- e un secondo momento -da settembre a novembre- scandiscono due diverse installazioni ambientali realizzate con tessuti di colori che restituiscono visivamente rispettivamente il fresco e il caldo; con materiali che disperdono o conservano il calore, che rinfrescano o scaldano, materiali dalla trama leggera o pesante che consentano il passaggio della luce o la riescano a schermare. Lo spazio inoltre si trasforma attraverso texture e superfici che ammorbidiscono o acuiscono visivamente e acusticamente lo spazio. Il tessuto non solo “veste” lo spazio ma lo modula creando sculture, percorsi, zone aperte e spazi più intimi in cui sostare. Tra questi spazi sono installate le opere della serie Cold As You Are, realizzate in collaborazione con il laboratorio di tessitura di San Patrignano, che riprendono fotografie termiche che ho scattato nel territorio tessute a mano con filati di cotone o lana, in rapporto con le diverse installazioni.
All’interno dello spazio modulato dal tessuto è inserita un’installazione video multicanale (Tempers, 2024): si tratta del montaggio di primi piani di mani e dettagli filmati durante interviste a persone che abitano o frequentano la valle o il lanificio, in modo tale da valorizzarne i gesti, il rapporto fisico e sensibile con il contesto.
La mostra è accompagnata da un sound-scape originale in due movimenti (corrispondenti alle due diversi fasi di vestizione dello spazio) realizzato dal sound artist e compositore Renato Grieco, seguendo la suggestione di un filo che viene teso e intrecciato per creare qualcosa di più complesso come avviene nella tessitura. Questa idea è stata perseguita attraverso la scrittura di un corale a quattro voci realizzato poi con tecniche miste che integrano registrazioni vocali, un consort di viole da gamba e diversi processi elettronici, sia digitali che analogici. Le quattro parti reali per viola da gamba sono state interpretate da Amalia Ottone adoperando un arco incrinato appositamente con un blend di seta e lana provenienti dalla produzione Zegna. Il sound-scape funziona così da colonna sonora con l’intenzione creare un legante atmosferico dei frammenti video e dell’intera installazione in tessuto. 

IB: Come è cambiato il tuo rapporto con i tessuti e i materiali grazie a questo progetto e alla possibilità di interagire con le maestranze Zegna? Inoltre l’occasione di collaborare con San Patrignano è stata un’esperienza importante in cui la condivisione del lavoro e del sapere ha portato a risultati bellissimi.

RM: Ho iniziato a lavorare con il tessuto grazie all’incontro con Giovanni Bonotto con il quale ho realizzato di recente un arazzo dal titolo A Body in Flames (2023), dopo quella prima esperienza ho iniziato sempre di più ad interessarmi a questo media sia dal punto di vista concettuale che materiale e sicuramente questo progetto, e l’incontro con Anna Zegna e tutte le maestranze attive qui al Lanificio, mi hanno offerto un’occasione unica per costruire un lavoro specifico per questo contesto, sperimentare con il tessuto e poterlo così trattare come un vero e proprio materiale scultoreo.

IB: Sin dai primi rendering il progetto mi ha sedotto ma devo dire che entrando nello spazio diventiamo consapevoli del nostro corpo, ma in maniera diversa da come succede nei video o nelle fotografie, lo spazio sembra abbracciarci, accarezzarci portando a una sensazione di armonia con lo spazio.


[1] Pezeu-Massabuau, J. A Philosophy of Discomfort. Reaktion Books Ltd, London, 2012

[2] Kędziorek, A. The Clothed Home. e-flux Architecture. October 2023

[3] Barbera, F. Le Piazze Vuote. Ritrovare Gli Spazi Della Politica.; Laterza: Bari-Roma, 2023


Orari di apertura della mostra “Atmosferica. Stagioni e temperamenti” a Casa Zegna:

Apertura: tutte le domeniche fino al 17 novembre 2024
dalle 11:00 alle 17:00
Ad agosto aperto tutti i giorni
Ingresso: intero 7 euro, ridotto 5 euro

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